ARMONIE VERDI. Paesaggi dalla Scapigliatura al “Novecento”

Ottone Rosai Paesaggio, 1922, olio su tela, cm 100 x 135, Fondazione Cariplo Ottone Rosai Paesaggio, 1922, olio su tela, cm 100 x 135, Fondazione Cariplo
di Silvana Gatti

Verbania,
Palazzo Viani Dugnani

dal 24 marzo al 30 settembre 2018

Mario Sironi Il lago, 1926, olio su tela, cm 50 x 57,5 collezione privata
Il Museo del Paesaggio di Verbania annuncia la primavera con una splendida mostra dedicata al paesaggio, Armonie verdi. Paesaggi dalla Scapigliatura al Novecento.
La rassegna, frutto della collaborazione tra Fondazione Cariplo e Fondazione Comunitaria del VCO, è la quinta tappa dell’iniziativa Open, tour di eventi espositivi, in collaborazione con le Fondazioni di Comunità.
La mostra, curata dalla storica dell’arte Elena Pontiggia e da Lucia Molino, responsabile della Collezione Cariplo, si articola in 3 sezioni: Scapigliature, divisionismo, naturalismo; Artisti del Novecento Italiano; Oltre il Novecento, attraverso una cinquantina di opere – tra cui dipinti di Daniele Ranzoni, Francesco Gnecchi, Lorenzo Gignous, Emilio Gola, Mosè Bianchi, Carlo Fornara, Ottone Rosai, Filippo De Pisis, Arturo Tosi, Umberto Lilloni - provenienti dalle Raccolte d’arte della Fondazione Cariplo, del Museo del Paesaggio di Verbania e da collezioni private. Un percorso suggestivo tra capolavori d’arte che vanno dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, esaltando il legame che lega l’uomo alla natura e conseguentemente al paesaggio, attraverso un genere pittorico messo al bando dopo l’avvento della pittura futurista, ma non per questo meno amato dal pubblico che, distante dai commenti di storici e critici dell’arte, lo apprezza costantemente.
Anselmo Bucci Il governo dei cavalli, 1916, olio su tela, cm 40 x 74, Fondazione Cariplo
La selezione delle opere scelte per questa rassegna sottolinea le differenti interpretazioni del paesaggio, partendo dalla sua centralità nel romanticismo di fine Ottocento, per passare alla rappresentazione volumetrica degli anni Venti, dove il paesaggio è tracciato seguendo linee architettoniche a suggerire un senso di solidità e di durata, per giungere alla precarietà espressa a partire dagli anni Trenta.
La mostra si apre con i paesaggi di Daniele Ranzoni, maestro della Scapigliatura, di cui sono esposte tre opere tra cui lo “Studio di paesaggio fluviale” (1872), un acquerello che raffigura una veduta del fiume con dei ciottoli in primo piano. L’acqua irradia luminosità e movimento grazie al taglio diagonale dell’impostazione, ma la stesura leggera delle pennellate rende il paesaggio evanescente, quasi una visione.
Segue Lorenzo Gignous con la bella “Veduta del Lago Maggiore” (1885-1890) ; l’opera raffigura  la sponda piemontese del lago, ripresa dalla riva dell’isola dei Pescatori. La scena è arricchita da dettagli che conducono il fruitore dal primo piano, in cui sono raffigurati i pescatori con le compagne affaccendate attorno alle loro barche, fino alla riva opposta, dove per contrasto sono raffigurate le dimore signorili e la città di Baveno dominata dalle cave di marmo, seguita dal Montorfano. Le fitte pennellate ed i  filamenti di diverso spessore rendono la consistenza del prato in primo piano, mentre il cielo e la distesa delle acque, resi con una pennellata più fluida e trasparente, suggeriscono l’atmosfera vibrante del lago.
Francesco Gnecchi - Fondo Toce (Lago Maggiore) o Il Sempione dal Lago Maggiore,  1884,olio su tela, cm 75,5 x 149, Gallerie d'Italia
Mosé Bianchi, con “Interno rustico” (1889-1895), raffigura una giovane contadina in un interno, colta di spalle mentre si dedica alle mansioni domestiche, attorniata da un gruppo di anatre nel piccolo rustico. Qui il paesaggio collinare si intravede appena, raffigurato oltre la porta d’ingresso da cui proviene la luce. Si prosegue con “Cascata del Toce in Valle Formazza” (1890) di Federico Ashton, opera in cui il dinamismo dell’acqua è reso in maniera spettacolare, e con il suggestivo “Le gelide acque del lago di Märjelen“(1908 ca) di Carlo Cressini. Molto bella, di Francesco Gnecchi, la visione del lago nell’opera “Fondo Toce (Lago Maggiore)” (1884). L’opera raffigura la sponda occidentale del lago tra Baveno e Pallanza verso Fondo Toce, oggi riserva naturale. Il punto di fuga della composizione coincide con la foce del fiume, e il paesaggio con il Sempione sullo sfondo degrada in piani paralleli che acquistano profondità grazie alle sfumature del cielo che contrasta con la limpidezza delle acque in primo piano. Alcune barche, di cui una in primo piano, regalano al fruitore una sensazione di tranquillità.
Dalla fine dell’Ottocento a valorizzare la pittura di paesaggio sono in particolar modo i divisionisti. In particolare, la presenza di Vittore Grubicy nel Verbano ha influenzato positivamente la storia del Museo del Paesaggio, che il generoso artista e intellettuale ambrosiano incoraggiò e di cui incrementò le raccolte mediante il dono di un suo importante dipinto, “Il cimitero di Ganna” (1895), qui esposto. L’opera raffigura un recinto immerso nel verde, circondato da un basso muretto bianco a cui si addossano alcune cappelle di famiglia, che sembrano piccole casette a suggerire un senso di pace, immerse come sono nella valle varesina, accanto all’omonimo lago. Il 30 novembre 1894 era scomparso a cinquantun anni, a Ganna dove era nato, l’amico di Grubicy, Giuseppe Grandi, scultore scapigliato  autore del Monumento alle Cinque Giornate di Milano. Grubicy, che era legato a lui fin dalla giovinezza, era giunto nel paese per i funerali. Nonostante il titolo, è la natura il vero soggetto del quadro, colta al tramonto di una giornata invernale, che diventa simbolo del declinare della giornata terrena. La striscia azzurrognola del lago arriva sino al primo piano, mentre il sole tramonta dietro le colline. Il luogo solitario ed i toni coloristici evocano un sentimento malinconico ma non drammatico. Da quest’opera nascerà il quadro Che pace a Ganna, ora alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in cui l’artista riprenderà lo stesso paesaggio, eliminando l’immagine del cimitero.
Ardengo Soffici Veduta serale del Poggio, 1952, olio su compensato, cm 42 x 52, Fondazione Cariplo
Importanti le opere di Cesare Maggi che, conquistato dalla pittura di Giovanni Segantini, si recò in Svizzera nella regione della Maloja (1899-1900) per dedicarsi al divisionismo ritraendo paesaggi alpini engadinesi e valdostani, spesso arricchiti con personaggi ed animali. In mostra è possibile ammirare il lirismo di opere quali il trittico “Neve”, (1908), e “Nevicata”, (1908 e 1911).
La carrellata di opere prosegue con lo scenario campestre de “I due noci”, (1921), di Carlo Fornara, a cui si affiancano Guido Cinotti con “Marina” (1910 -1915), paesaggio assolato reso con pennellate filamentose a rappresentare cielo e mare su cui troneggia una barca a vela, in un’atmosfera evanescente. Clemente Pugliese Levi è presente con “Cave di Alzo”, (1920), opera che documenta i lunghi soggiorni estivi sul lago d’Orta - dove nel 1920 acquistò una villa a Viganallo - soggetto predominante nei suoi dipinti insieme alle vedute alpine dovute alle villeggiature a Macugnaga, Courmayeur, Zermatt e Dolomiti. La sezione si conclude con i paesaggi brianzoli di Emilio Gola e le vedute di Pietro Fragiacomo, tra cui “Armonie verdi” che dà il titolo alla mostra, Teodoro Wolf Ferrari, Antonio Pasinetti.
Il paesaggio, poco considerato dai futuristi che amavano la città industriale e la macchina, torna a riaffermarsi in pittura col Ritorno all’ordine e col Novecento Italiano, cui è dedicata la seconda sezione della mostra. La sezione si vale anche di due prestigiosi nuclei di opere recentemente assicurati, con un deposito, al Museo del Paesaggio: “Il lago”, (1926), paesaggio dal taglio essenziale di Sironi, e un’ importante serie di paesaggi di Tosi.
Sono qui esposte cinque opere di Mario Tozzi, emblematiche del passaggio dall’impressionismo ai valori classici.  Giunto nel 1900 a Suna col padre medico e la famiglia, Mario Tozzi riceve da miss Prescott, amica di famiglia, la prima scatola di colori, mentre il pittore Alfonso Muzii gli insegna a dipingere. L’ambiente circostante ispira le sue opere. Tra queste, sono in mostra la poetica “Casetta a Suna”, oggi Verbania, del 1914; “Cimitero di Suna” e “La passeggiata”, luminose opere di stampo impressionista del 1915; “Neve a Lignorelles”, (1921) e “Paesaggio di Borgogna”, (1922), entrambe ormai novecentiste, dipinte con forme più dense e volumi più definiti. Anche Anselmo Bucci con “Il governo dei cavalli”, (1916), documenta un momento di transizione.
Col Novecento Italiano la volatilità dei paesaggi precedenti cede il passo ad opere caratterizzate da un impianto costruttivo che dà solidità all’insieme, come “Paesaggio”, (1922), di Rosai; “Ornavasso”, (1923) e “Guardando in alto”, (1925), di Carpi; “Pioppi”, (1930), di Michele Cascella. Stilizzati sono i paesaggi urbani di Penagini, artista che dal 1923, dopo essersi sposato, si trasferisce a Solcio, sul lago Maggiore, e partecipa alla prima e alla seconda Mostra del Novecento Italiano, condividendo solo alcuni aspetti di questo movimento; egli è contrario allo sfaldamento impressionista della forma e delinea sulla tela un’architettura del paesaggio, fatta di pesi e volumi. Opera emblematica di questa sezione è “Il lago”, 1926, di Sironi, che non ha nulla di artistico e rende immobile e surreale un angolo di un mondo senza tempo, incastonato tra le montagne.
L’Associazione Arturo Tosi di Bergamo ha lasciato in deposito al Museo del Paesaggio di Verbania sei tele del grande artista: “Cipresso a Zoagli“, “Le tre betulle“, “Fuori dallo studio“, “Ulivi a Montisola“, “Il piantone“ e “Lago di Como“, dipinti tra il 1923 e il 1940, esposti in questa mostra. Nel Novecento Italiano Tosi rappresenta l’ala più vicina alla tradizione lombarda ottocentesca. La sua pennellata fluida e pastosa si riallaccia a una scuola pittorica che dal Fontanesi e dal Piccio giunge alla Scapigliatura e a Gola. Con il Novecento Tosi condivide però il senso della sintesi e di una salda struttura architettonica, mutuata soprattutto da Cézanne. Con gli anni Trenta si abbandona lo stile volumetrico e la pittura torna a esprimere un senso di precarietà. Ne è un esempio il Temporale (1933) di De Pisis, in cui pochi tratti di colore sono stesi sulla tavola preparata con un sottile strato di vernice. Il legno del supporto è visibile in più punti mentre, nella parte centrale, il colore è eliminato con graffiature eseguite con la punta del pennello. Una composizione in basse tonalità - dal grigio al bruno, al verde scuro - che riflettono il senso di inquietudine che precede l’arrivo del temporale. Seguono lo stesso filone  Paesaggio di Lavagna (1934) di Lilloni, ed opere del secondo dopoguerra di Dudreville (Case a Feriolo, 1945) e Soffici (Veduta serale del poggio,1952).
Una mostra imperdibile per gli amanti del paesaggio, da abbinare ad una gita nell’accogliente cittadina di Verbania.
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