Artisti allo specchio

Fugaci ierofanie: rivelazione della sacralità dell'uomo di un tempo.
Di Sergio Monari.

Il mio agire è intellettuale, secolare, problematico nel suo cercare corrispondenze con i disequilibri della contemporaneità, affrontato con severa causticità. La mia scultura possiede una carica narrativa, teatrale, capace di accendere il dramma davanti allo sguardo dell’osservatore; un andamento epico, shakespeariano con colte citazioni da tradizioni umanistiche, caratterizza opere che spesso si sviluppano anche in forma di dittico, di alfa e di omega fra i quali corre una separazione in cui risiede la distorsione dell’originale armonia del mito.
L’opera non formula giudizi, bensì prende atto del volto della società e lo raffigura senza pudori né moralismi, infondendo nell’indagine tutta la disillusione dei Cinici. Per questa ragione, il suo tratto drammatico e cesellato, che potremmo definire scarno, è la traduzione per immagini della decadenza dell’Età Classica, o meglio di ciò che è diventata l’umanità allontanandosi dai suoi valori più profondi.
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Le mie sculture si pongono come riletture critiche della società contemporanea, prendendo come modello quella classica, che pur non scevra di difetti, aveva la bellezza quale ideale supremo, quale meta di un cammino civile fatto di coerenza e spiritualità, e che aveva nel Mito un riferimento sia spirituale sia sociale, essendo la sua funzione quella di “ponte” fra il vissuto e l’ordine del cosmo.
Alla luce di un tale approccio verso l’Età Classica, si può parlare non tanto di Neoclassicismo - in quanto legato soltanto agli aspetti estetici - bensì di Neo classicità, in quanto la mia indagine si sviluppa sotto forma di analisi psicologica di una società e dei suoi atteggiamenti verso l’esistenza, dei suoi meccanismi relazionali, del suo rapporto con il sacro, riletti alla luce della realtà contemporanea. Il classicismo inteso quindi come complesso di valori di riferimento che potrebbero essere ancora validi.
Essi infatti, ripartono proprio da quel fallimento che nella nostra epoca è stato acuito dall’allontanamento dell’individuo dalla sua interiorità, dalla capacità di porsi domande che lo sospendano sull’infinito. La civiltà classica è presentata come appesantita e sfregiata dalle storture della modernità, e non casualmente, una espressione o un’atmosfera di amarezza accompagna le mie sculture.
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Si avverte lo scorrere del tempo, non di quello scandito dal susseguirsi dei cicli delle stagioni, quanto di quello, ben più impattante e drammatico, scandito dalle azioni degli uomini, che lascia tracce sui volti e che ogni specchio rivela quasi a tradimento, eterno monito di ciò che è stato. Tempo fatto di pensiero e di azioni, che scorre ossessivo lasciando dietro di sé un senso di amarezza.
Un tempo che definisco “tremulo”, a volerne sottolineare la leggerezza quasi inavvertibile delle vibrazioni, capaci però di lasciare segni profondi. Segni d’impazienza; è questo febbrile stato d’animo, infatti, a turbare la pace che caratterizzava l’individuo antico. Quello moderno è invece impaziente di fuggire da se stesso, o meglio dalla sua inevitabile decadenza, non accorgendosi che, paradossalmente, la accelera.
Pur nella loro conflittualità, rivelano l’urgenza di un recupero della dimensione spirituale, e in virtù di ciò si offrono all’osservatore come tante fugaci ierofanie, fugaci rivelazioni di quella sacralità che un tempo apparteneva all’individuo.