Carrà e Martini. Mito, visione e invenzione

L’opera grafica.
13 Giugno - 3 Ottobre 2021.
Museo del Paesaggio, Verbania.
a cura di Silvana Gatti.

L'approssimarsi dell’estate vede la riapertura della stagione espositiva del Museo del Paesaggio di Verbania, presso gli spazi di Palazzo Viani Dugnani, sabato 12 giugno alle ore 11.30.
Il Museo del Paesaggio riparte con la mostra Carrà e Martini. Mito, visione e invenzione. L’opera grafica con opere provenienti dalla collezione del Museo e da una collezione privata milanese, a cura di Elena Pontiggia e di Federica Rabai, direttrice artistica e conservatrice del Museo. L’esposizione annovera oltre 90 opere, la maggior parte di grafica, di due grandi artisti del Novecento italiano che si sono affermati per aver rinnovato il linguaggio della pittura e della scultura. Completa il percorso dedicato al mito e alla visione una serie di sculture di Arturo Martini, presentate accanto ai bozzetti, ai disegni e alle incisioni.
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Carlo Carrà (Quargnento, Alessandria, 1881 - Milano, 1966) lasciò la casa paterna sin da imberbe, facendo il decoratore per guadagnarsi da vivere, sino all’età di 23 anni. Nel 1904 entrò a Brera alla scuola di Cesare Tallone, e partecipò attivamente ai movimenti che rivoluzionarono la pittura nel primo ventennio del 1900. Le sue opere sono contrarie all’accademismo e si discostano dalla pittura ottocentesca, indirizzandosi verso i valori primitivi ed essenziali della pittura. A Milano Carrà è stato tra i firmatari del manifesto futurista (20 febbraio 1909) ed ha partecipato attivamente ai movimenti del gruppo. Le sue opere futuriste si affiancano a quelle di Boccioni. Tra il 1911 e il 1914 ha viaggiato a Parigi, dove ha conosciuto Picasso, Braque, Apollinaire. Tornato in Italia nel 1915 ha conosciuto anche De Chirico, ed è stato anche scrittore e critico d’arte. Nel 1948, 1950 e 1952 ha partecipato alle Biennali veneziane ed a numerose mostre anche all’estero. Al museo di Verbania sono esposte una cinquantina di opere tra acqueforti e litografie a colori, che documentano le varie fasi del percorso artistico di Carrà fatto di una pluralità di stili che si compenetrano l’un l’altro. Si parte dai paesaggi dei primi anni venti, eseguiti con un disegno essenziale come in Case a Belgirate (1922), per continuare con la suggestiva Casa dell’amore (1922), che denota come l’opera di Carrà deriva da una profonda meditazione, oltre che dalla forte volontà di autonomia artistica, che ben si estrinseca in una frase da lui scritta riferendosi al 1922, anno che «segna la mia ferma decisione di non accompagnarmi più ad altri, ma essere soltanto me stesso».
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Esposte anche immagini visionarie realizzate nel 1944 per un’edizione di Rimbaud, in cui Carrà, negli anni della seconda guerra mondiale, raffigura angeli, demoni, creature mitologiche e figure realistiche, immagini di morte ma anche di speranza, come Angelo (1944). Fin dagli esordi, Carrà si serve dell’incisione per reinterpretare con acqueforti e litografie i suoi più importanti capolavori, dalla Simultaneità futurista alle Figlie di Loth, dall’Ovale delle apparizioni di evidente stampo dechirichiano al Poeta folle. In quest’ultima opera litografica, nella parte centrale della composizione è raffigurata una figura di profilo che si muove verso sinistra all’interno di uno spazio spoglio. Le zone in ombra sono rese con tratti incrociati e scomposti che danno un certo dinamismo alla figura, evocando lo stile futurista. La figura è stilizzata e raffigura un poeta con un libro in mano, vestito in maniera classica. Le linee sono piuttosto marcate ed i contrasti chiaroscurali molto netti. Spezza l’atmosfera metafisica un vaso con una pianta, sullo sfondo a sinistra. Le prime incisioni di Carrà risalgono al 1922-1923 e sono tutte acqueforti, fatta eccezione per la litografia I saltimbanchi, eseguita per una cartella edita a Weimar dal Bauhaus. Dal 1924 l’artista si dedicò sistematicamente all’incisione, grazie agli insegnamenti di Giuseppe Guidi, «il Dio del fuoco» come amava definirlo Gabriele D'Annunzio, che quell’anno aveva aperto un laboratorio calcografico nella sua stessa casa, in via Vivaio 16 a Milano. Giuseppe Guidi nacque a Castel Bolognese nel 1881 e, durante e dopo il primo conflitto mondiale, fu un noto pittore, incisore, ceramista e rinnovatore della pittura a smalto su metalli , raggiungendo una certa fama non solo a Milano, dove abitava e lavorava, ma in tutto il Nord Italia. Sono di questo periodo le trentatré acqueforti di Carlo Carrà con la stampa dei rami che aveva inciso, ma non impresso, nel biennio precedente.
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Il segno di Carrà è sintetico, duro, e si riflette anche nel paesaggio che lo attrae particolarmente. Fin dagli inizi, però, l’incisione serviva a Carrà anche per rielaborare opere precedenti. Questa fervida stagione iniziale ha un’appendice nel 1927-1928, quando Carrà, che in quel periodo aderisce al gruppo del “Selvaggio” (la rivista toscana animata da Maccari, a cui sono vicini Soffici, Rosai, Morandi e altri artisti) esegue litografie e acqueforti caratterizzate da un linguaggio più vicino alla pittura. Carrà torna a dedicarsi alla grafica nel 1944, dopo un intervallo di sedici anni dalle ultime incisioni. Mentre negli anni Venti si era dedicato soprattutto all’acquaforte, ora si dedica alla litografia in bianco e nero e a colori. Nel 1944 pubblica la cartella Segreti, in cui il lago di Como, visto da Corenno Plinio dove l’artista era sfollato nel 1943, è raffigurato in un’atmosfera irreale. Nello stesso anno esegue dodici tavole per Versi e prose di Rimbaud, dove raffigura angeli, demoni e segni di morte, influenzato dal tragico momento storico. Nel 1947 illustra L’Après-midi et le Monologue d’un Faune di Mallarmé, tradotto da Ungaretti.
A partire dal 1949, ormai alla soglia dei settant’anni, ripensa sistematicamente alla propria opera. Nella cartella Carrà 1912-1921 (Venezia 1950) e nei due album Carrà n. 1 e n. 2 dei primi anni Sessanta riprende opere del periodo futurista, primitivista e metafisico. carra4














Arturo Martini
(Treviso, 1889 - Milano, 1947) ha iniziato a lavorare a soli dodici anni presso l’orafo Schiesari, per poi diventare apprendista presso la fabbrica di ceramiche Sebellin. Ha intrapreso in seguito, sempre a Treviso, il tirocinio di scultore presso il Carlini, per poi proseguire a Venezia presso Urbano Nono. Nel 1909 si reca a Monaco di Baviera dove frequenta la scuola di Adolf von Hildebrand. A Parigi, tra il 1911 e il 1912 è attratto da Malloil. Affermato scultore, nell’ultimo periodo della sua vita scrive “La scultura lingua morta” (Venezia 1945), dove denuncia l’insufficienza della scultura come espressione artistica. Poco prima di morire si dedica alla pittura, cercando di raggiungere una maggiore immediatezza espressiva, accettando la sfida di una tecnica del tutto nuova. Nonostante da ragazzo avesse eseguito disegni, incisioni e anche qualche quadro, questo non era sufficiente a dargli la padronanza del mestiere e nelle sue lettere alla moglie Brigida esprime tutte le sue ansie, insieme alle sue speranze. “Non mollo l’osso, devo spuntarla, deve nascere la mia pittura” le scrive e più tardi: “Mi par d'aver trovato con questa nuova speranza la vita, perché di scultura non ne potevo più, ero nauseato”. In autunno, da Vago di Lavagno, nel Veronese scrive: “Spero [...] poter dipingere dal vero i paesaggi che mi stanno attorno. Domani mi proverò ad uscire con una cassetta di colori, vedremo se capirò qualche cosa, però nella peggiore delle ipotesi studierò dal vero, sfogherò un desiderio che da tanto tempo avevo”. Il 17 febbraio 1940 alla Galleria Barbaroux di Milano, veniva inaugurata la prima mostra di pittura di Arturo Martini, con ventitré quadri eseguiti nel 1939 tra Vago, Burano e Milano. Fu un successo di pubblico e di critica. Una quarantina le opere di Arturo Martini esposte a Verbania, comprese tra il 1921 e il 1945 coprendo tutta la carriera dell’artista, a partire dal lavoro a matita su carta Il circo del 1921 circa, importante disegno del periodo di adesione ai “Valori plastici” quando Martini era molto vicino a Carrà ed alla metafisica. Segue Carnevale del 1924, incisione pubblicata sulla rivista “Galleria”. Interessante è il Suonatore di Liuto del 1929, prima opera donata da Martini a Egle Rosmini al momento della loro conoscenza, con la dedica. Importante poi il ciclo di incisioni eseguite a Blevio nell’estate del 1935 su soggetti già trattati anche in scultura - come L’Attesa e Ratto delle Sabine - o già presenti in altre incisioni precedenti - come L’uragano; si prosegue con Il fabbro e Il Samaritano che sembra partecipare anche fisicamente al dolore del corpo vulnerato del povero.
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Nel 1942 esegue 11 disegni preparatori - tutti esposti - del Viaggio d’Europa per l’illustrazione dell’omonimo racconto di Massimo Bontempelli. Del 1944-45 sono il gruppo di incisioni predisposte da Martini per l’illustrazione della traduzione italiana dell’Odissea a cura di Leone Traverso, poi non pubblicata. Eseguite a Venezia, rivelano la versatilità della fantasia martiniana tesa a sperimentare materiali e linguaggi poveri, al limite tra immagine e pura suggestione timbrica. Pubblicate postume soltanto nel 1960 sono tra le prove più convincenti della grafica martiniana. Accanto a queste prove dell’artista, spiccano le dieci sculture qui esposte che testimoniano la padronanza tecnica raggiunta da Martini nella scultura. Molto interessante La famiglia degli acrobati, con tre atleti nudi che sembrano sfidare la legge di gravità grazie allo spirito ginnico, a cui si aggiunge la vitalità leggermente erotica suggerita dalla posizione della donna. Adamo ed Eva è un’altra scultura di Martini ricca di pathos, con Adamo che stringe a sé Eva in senso di protezione; i due, accomunati dal castigo divino, fuggono insieme dal paradiso terrestre ma rimangono uniti pur nella cattiva sorte. Molto bella la Testa di ragazza, una delle ultime sculture eseguite dall’artista, la cui fisionomia disorientata, con la bocca socchiusa e lo sguardo stupefatto, conferisce alla figura un’aria misteriosa e metafisica. La mostra si chiude con tre tele: Sansone e Dalila, La siesta e Paesaggio verde per rafforzare il tema della differenza tra disegno e realizzazione finale delle opere, pezzi unici di grande valore storico e artistico. Una mostra di sicuro interesse da non perdere, da visitare nell’ambito di una piacevole giornata da trascorrere sulle sponde del pittoresco lago Maggiore.