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Il paradiso di Cuno Amiet

“Giovanni Giacometti legge alla finestra – Parigi  (Giovanni Giacometti am Fenster lesend – Paris)” 1890, olio su tela, 41 x 32.5 cm Collezione privata “Giovanni Giacometti legge alla finestra – Parigi (Giovanni Giacometti am Fenster lesend – Paris)” 1890, olio su tela, 41 x 32.5 cm Collezione privata
Il Museo d’arte di Mendrisio ospita un’interessante mostra dedicata a Cuno Amiet, la prima in Ticino e in area italiana, ricca di una settantina di dipinti e una sessantina di opere su carta, al fine di documentare l’iter creativo di un artista non inflazionato ma importante. Sono esposti capolavori provenienti dalla Fondazione Amiet di Oschwand e da svariati tra i maggiori istituti museali della Svizzera: primo fra tutti il Kunstmuseum di Soletta, che annovera nelle sue collezioni alcuni tra i più significativi dipinti del pittore, seguito dal Kirchner Museum di Davos, il Kunstmuseum di Berna, il Kunsthaus di Zurigo, il Musée d’art et 1 FIG. 5 AMIET 1912.16d’histoire di Friborgo, la Collection Pictet di Ginevra, l’Aargauer Kunsthaus, il Kunstmuseum di Olten, tra gli altri.
Cuno Amiet, pittore svizzero, studiò dapprima con Frank Buchser, poi all'Accademia di Monaco e a Parigi. Subì l'influsso degli impressionisti: di Séguin, di Émile Bernard e, soprattutto, di Gauguin, che incontrò a Pont-Aven nel 1892-93 diventando membro della scuola omonima. Allievo di Hodler, fu amico di Giovanni Giacometti e di Giovanni Segantini.
Cuno Amiet (Soletta, 1868; Osch-wand, 1961) è - nella scia di Ferdinand Hodler - tra le personalità più rappresentative dell’arte svizzera del- la prima metà del Novecento. Mentre Hodler rappresenta l’identità artistica svizzera dello scorso secolo in area germanofona, Amiet può essere indicato come il maggiore esponente svizzero di una tradizione francese impressionista e postimpressionista. Amiet e Hodler erano molto legati dal punto di vista artistico, con l’esempio trainante del più anziano tra i due, Hodler, portatore con il suo simbolismo di una secolare tradizione tedesca. Entrambi gli artisti possono essere considerati i padri della pittura moderna svizzera.
Figlio di J.J. Amiet, storico e archivista, Cuno dopo gli studi presso la Kantonsschule Solothurn fa l’apprendistato presso il pittore svizzero Frank Buchser. In seguito continua gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco, dal 1886 al 1888, dove incontra e stringe amicizia con Giovanni Giacometti.
Partito nel 1889, giovanissimo, in compagnia di Giovanni Giacometti alla volta di Parigi e poi della Bretagna, dove vive l’esperienza Nabis a Pont-Aven sulle tracce di Gauguin. Amiet si farà conoscere ed apprezzare soprattutto per le sue eccezionali doti di colorista. Nel corso del primo ventennio del Novecento, la sua opera rappresenta la punta di diamante dell’avanguardia artistica svizzera. Amiet si muove all’interno delle nuove tendenze francesi, tra simbolisti e neoimpressionisti, e pochi anni dopo si ritrova anche tra i fondatori, con Kirchner, Heckel e alcuni altri, del gruppo Die Brücke, all’origine dell’espressionismo tedesco. Nei primi due decenni del Novecento il suo lavoro è caratterizzato dalla continua sperimentazione, che sfociava in originali composizioni dall’accentuato e piacevole cromatismo.
1 FIG. 3 AMIET 1899.01Le opere di Amiet, raffiguranti paesaggi, figure e nature morte, infondono un forte senso di armonia e serenità. Opere raffiguranti personaggi bretoni e “Studio per ragazze gialle”, in mostra, evidenziano pienamente l’influenza gauguiniana dei Nabis, in cui l’uomo si immerge nella natura in perfetta armonia, in parallelo al movimento francese dei Fauves.. Amiet segue i propri valori positivi, incentrati sul sentimento di pienezza e di felicità. Il suo è un inno alla vita vissuta in armonia con il mondo esterno, in cui l’uomo è pienamente appagato dalla bellezza della natura e dalle sue manifestazioni di luci e colori che infondono la gioia di vivere. E’ la campagna bernese quella dipinta da Amiet per buona parte della sua vita, a Oschwand. Un ambiente intatto, con scenari agresti che ispirano le sue tele di natura bucolica, e figure, paesaggi, gli stessi interni e le nature morte, riportano sempre alla mente - attraverso colori, luci e tagli compositivi - un’impressione di Arcadia, di paradiso terrestre, che viene scandito dai rapporti umani, dal lavoro nei campi, dall’amore verso il prossimo e la famiglia, dall’immergersi dell’uomo nella natura. C’è un sentimento armonico di fondo e basilare nell’opera di Amiet, coerente e riscontrabile lungo tutto il suo percorso. Opere quali “La raccolta della frutta” sottolineano l’amore dell’artista per le cose semplici e la vita di campagna, vissuta con lo spirito di gruppo e la solidarietà tipica della vita contadina, dove i personaggi si muovono all’unisono come in un coro armonico fatto di note colorate. “La raccolta delle mele” è un’opera gioiosa dal timbro volutamente bambinesco, tale da ricondurre il visitatore al periodo dell’infanzia, quando è la natura ad avvolgere i sensi ed a dettar legge al ritmo delle stagioni. E l’estate è un tripudio di colori, quando la natura regala i suoi frutti a chi, lavorando in compagnia e salendo su una scala, li raccoglie. Non si sente la fatica, in queste opere, ma solamente la gioia del vivere in campagna.
Anche il dolore si trasforma nelle sue tele in un sentimento che trascende il vissuto terreno, sfociando in uno dei capolavori dell’estrema maturità, quando già aveva perso la compagna di una vita. Si tratta del “Paradiso terrestre” (Paradies), opera in cui è raffigurata una scena angelica in un’atmosfera bucolica connotata da un’intensissima luminosità dorata.
Esposte opere magnifiche come “Ragazza bretone sotto gli alberi” (1893), di matrice gauguiniana, le tre versioni di “Paradiso” (quella, celebre, del 1894-1895, l’olio del 1900-1901 e l’ultima del 1958), “Doppio ritratto” (1903), “Natura morta floreale” (1904), Studio per “le ragazze gialle” (1905), ammirato da Kirchner, “La ragazza gialla” (1907). Interessante anche il “Nudo femminile sdraiato con fiori” (1912), di eco chagalliano per via della figura sdraiata dall’espressione serena, con un fiore in mano. Tra i ritratti, “Autoritratto davanti a un dipinto del giardino” (1919) e “Liette” (1932). Un artista molto produttivo Amiet, con più di 4000 opere, tra cui un migliaio tra ritratti ed autoritratti. Caratteristico il suo “Autoritratto in rosa”, che sottolinea con la scelta del colore predominante, il rosa, il suo animo gentile e semplice.
Il ruolo centrale occupato da Amiet nella storia artistica svizzera è documentato, in mostra, da una decina di confronti con artisti contemporanei europei, da Paul Gauguin a Henri Matisse, da Giovanni Giacometti e Ferdinand Hodler a Ernst Ludwig Kirchner, da Alexej von Jawslensky e Marianne Werefkin a August Macke, da Gabriele Münter a Ernst Morgenthaler, così da immergersi nell’atmosfera nella quale si è sviluppata mossa l’intera carriera di Amiet.
Il suo innato colorismo, la sua fantasia nella molteplicità dei soggetti, che lo avevano visto in prima fila negli sviluppi dell’arte d’inizio Novecento, hanno attratto anche i pittori ticinesi d’inizio secolo tra cui Pietro 1 FIG. 4 AMIET 1907.491Chiesa, ammiratore sia dei suoi temi, sia della sua linea stilistica, con il quale Amiet espose nel 1953 a Olten in una mostra di grande successo e che sarà ugualmente presente anche nella retrospettiva di Mendrisio.
A livello ticinese la mostra può contare sulla collaborazione di tutti i principali musei: MASI, Lugano; Pinacoteca Casa Rusca, Locarno; Museo comunale di Ascona; Fondazione Braglia, Lugano, i quali hanno acconsentito a prestare importanti capolavori delle loro collezioni.
La rassegna di Mendrisio, organizzata insieme alla Fondazione Amiet a Oschwand, si avvale della presenza nel Comitato Scientifico di Franz Müller, curatore del catalogo ragionato dell’opera di Cuno Amiet dagli esordi fino al 1960 per le edizioni ISEA/SIK, e di Aurora Scotti, tra i maggiori esperti di pittura italiana ed europea di fine secolo, entrambi anche autori di importanti contributi in catalogo. Questo sarà completato da un saggio di Simone Soldini, un testo sull’opera grafica a cura di Viola Radlach e dal consueto corpus di apparati a cura dei collaboratori scientifici del Museo d’arte Mendrisio.
di Silvana Gatti