Les Fleurs et les Raisins

Trasversali allegagioni d'arte - Nouveau... a l'art
Innumerevoli, nel campo delle creazioni umane, sono i prodigi scoperti quasi per caso, errori di prassi e valutazione trasformati in formidabili intuizioni dalla brillante versatilità del genio individuale. Così avvenne anche per il Beaujolais Nouveau, allorché un gruppo di ricercatori di Narbonne, volendo trovare un modo per conservare le uve appena raccolte, le posizionarono sotto una cortina di anidride carbonica per diverse settimane. Dopo essersi accorti della loro fermentazione in un liquido ancora in parte gassoso, decisero di procedere alla vinificazione: era nata la tecnica della “macerazione carbonica” con la quale tutt'oggi, a distanza di circa un secolo, si produce questa particolare tipologia di vino.
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In sostanza i grappoli ancora interi vengono posti in una cisterna saturata con anidride carbonica e chiusa ermeticamente: il gas che verrà a formarsi riempirà l'intero contenitore determinando una fermentazione intracellulare. La massa così ottenuta viene pigiata, svinata e collocata in un tino per completare la fermentazione. Dopo pochi giorni dall'imbottigliamento il vino può essere venduto. Se può esserci un re del Beaujolais Nouveau, che ha contribuito a crearne un'immagine affascinante sia in Francia che nel resto del mondo, questi è sicuramente Georges Duboeuf, sincero e appassionato sostenitore della sua terra e di quel vitigno, il Gamay noir a jus blanc, protagonista di tanti cru del Beaujolais. Uscendo sul mercato il terzo giovedì di novembre, l’attesa del Nouveau è particolarmente sentita all'interno del calendario degli appuntamenti enologici, e proprio Duboeuf fu grande promotore de “Les Sarmentelles de Beaujeu”, festival che celebra il deblocage del vino. A poco più di un anno dalla scomparsa di Georges, l’attività è ora gestita dal figlio Franck e il nome Duboeuf è ambasciatore dell’intera regione e di circa trecento viticoltori che lavorano in stretta sinergia. Il Nouveau 2020 presenta i caratteristici sentori vinosi, profumi di fragola, di sottobosco, accenni di giuggiola e uvaspina con una sferzata evidente di arancia sanguinella. Al palato è meno rustico di quanto ci si potrebbe attendere, il poco tannnino è ricompensato da una buona acidità e da quel sospetto di carbonica non ancora risolta che conduce al sorso successivo. Un vino allegro, brioso e conviviale, da bere spensieratamente seduti a un tavolo tra Gnafron e Guignol, in uno dei numerosi bouchon lionesi.
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La musica insegue le curve e le capitolazioni vocali di Trenet, gli occhi addolciti dalla “Joie de vivre” di un Picasso rasserenato dalle coste di Antibes che ci accompagna nelle evoluzioni danzanti della sua donna-fiore: il suono mellifluo del flauto del centauro e del diaulo del fauno che si confonde e si perde tra le digradanti variazioni “carta da zucchero” del mare e del cielo. Un sorso di vita scovato al cuore di un Eden senza tempo.
Alberto Gross
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