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MANIFESTO

di Francesco D’Alconzo
Prefazione:
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La materia è ovunque: è acqua, è terra, è l’universo stesso che parla dei suoi confini/non confini.
Nella visione artistica di Francesco D`Alconzo non è il mondo esterno a dover essere rappresentato: non serve qualcun altro che dia nuova forma ai girasoli o che scomponga l’essere umano fino a frammentarlo per dare concretezza al suo dualismo e alle sue lotte interiori.
D´Alconzo parla del suo mondo, della sua visione schietta e pura di come lui vede le cose e di come le cose si offrono a lui, servendosi di nuove tecniche, nuovi supporti, nuove dimensioni.
Il colore è emozione allo stato puro e mai casuale. In nessun caso utilizzato per fini meramente estetici.
La sua ricerca del bello si traduce in materiali e stili nuovi che si fondono e s’alternano dando vita a un’opera d’arte unica, come uniche sono le emozioni che ciascuno di noi prova osservando lo spazio fuori dal corpo e dai pensieri.
Le linee perdono i loro confini e delineano orizzonti e forme dai tratti stravaganti ma al contempo essenziali.
È proprio così che hanno forma le idee: da concezioni individuali talvolta un po’ strambe, forse imbarazzanti perché mai espresse, segregate, ma comunque soggettive e particolarissime.
È qui che prende forma l’arte di Francesco D´Alconzo: dalle idee, perché “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta).
E se noi siamo il riflesso di tutto ciò che proviamo, che sentiamo e che sogniamo allora la realtà non è quello che si manifesta fuori di noi.
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L’arte non è più la rappresentazione del mondo così come gli occhi lo osservano o come le emozioni lo guidano. Sono le idee che si concretizzano attraverso la mente di un unico e coraggioso precursore che, anticipando i tempi, ha pensato e pensa una nuova concezione di creatività, uno stilema dai tratti inconfondibili e irraggiungibili: mai proposti e mai raggiunti prima d’ora.
Un’innovazione assoluta che solo D´Alconzo è riuscito a definire in modo consistente e autentico, portandosi avanti rispetto ai tempi moderni e riuscendo a scrivere un nuovo importante capitolo nell’evoluzione artistica dell’uomo.
Questa Prefazione non nasce con l’intento di anticipare la concezione creativa di D´Alconzo, definendo i suoi tratti stilistici. Bensì é un’idea, la mia idea: unica e solo mia, l’idea di ciò che questo immenso artista rappresenta e rappresenterà per l’evoluzione dell’arte così come la conosciamo.
È un’intuizione che voglio lasciare a te come guida per farti travolgere da un universo incontaminato e vergine come quello pensato e messo in atto da Francesco D´Alconzo. Abbandona ogni preconcetto, buttati alle spalle tutti i retaggi dei paesaggisti o degli astrattisti del passato: solo così, spogliandoti delle tue emozioni e inibizioni, potrai lasciarti condurre attraverso il futuro, una realtà ideale ma tangibile che è arrivata proprio adesso.
Agnese Agozzino
Ho prima immaginato, poi pensato ed infine in uno stato di meditazione concepito, dipinti e sculture che in quanto IDEA, così tali dovevano rimanere in forma archetipa.
Ovviamente, visto che il mio stilema non è affidato al pennello ed allo scalpello, un problema fondamentale è quello della comunicazione che, in questo campo, necessita dell’oggetto. La concretizzazione avviene in uno stadio successivo; capisco così di aver creato un meccanismo pioneristico però, se pur di fronte ad un’innovazione, mi sono rivolto al passato rivisitando il concetto di Bottega. Comunque anche la Bottega non poteva seguire la metodologia del Rinascimento, cioè un gruppo che lavora a stretto contatto.Ho dovuto dar vita ad un processo sinergico di vari autori specializzati in discipline diverse che lavorano indipendentemente l’uno dall’altro senza la necessità coadiuvarsi, ma il tutto sotto la mia egida e con il filo conduttore del mio pensiero che è l’opera vera e propria.
Il solo ruolo della tecnica è valido ed efficace, ma non sufficiente nell’attività di un artista che aspiri all’eccellenza.
Ogni persona può apprendere l’uso della tavolozza od altro strumento, ma tutto ciò, per quanto apprezzabile ed anche brillante, non potrà mai sostituire la marcia inesorabile di un fine intelletto, insieme al lampo della percezione.
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In questo caso io stesso posso affermare di non conoscere il segreto di un superlativo talento; spesso non è azione cosciente controllata dal raziocinio, pro- babilmente deriva da uno stato di meditazione a cui sono dedito da anni. In un attimo riesco ad acquisire consapevolezza di quel che sto per ideare; devo comunque usare quello che ho imparato dalla storia e riuscire a trasformare le conoscenze in risultati.
Ciò che ovviamente nel tempo è cambiato sono le tecniche e le forme che l’arte visiva fa proprie. Ogni epoca parla con il linguaggio che le appartiene, anche se la permanenza di ciò che è stato, nessuna novità è capace di cancellare totalmente. Questi nostri tempi sono tor- mentati, basti pensare al Novecento che è stato il secolo più devastato della storia conosciuta, per esempio le due Guerre Mondiali. Il mio intendimento non è quello della rappresentazione negativa; ho voluto contrapporre a questa un messaggio, prima di tutto di riflessione e d’interiorizzazione che per forza di cose, non può essere realizzato tramite il figurativo e neppure con l’astrazione convenzionale. Quando i Maestri del passato dipingevano un’iconografia sacra, usavano il fondo oro perché era il metodo più idoneo per identificare la Divinità. Ritenendo poco opportuno questo tipo di ripetizione, ho risolto con il monocromo e con la sfera, in quanto elementi assoluti.
I miei quadri sono monocromi ed il monocromo fa parte della storia. Le mie “sculture” sono sfere che appartengono soprattutto ad un concetto minimale d’istallazione ed anche questo, ha i suoi precedenti.
Credo quindi che la novità consista proprio nel metodo creativo sopra descritto ed ancor più nel voler rappresentare il Sacro, una zona altamente spirituale. Voglio che le mie opere trascinino altrove in un mondo non previsto, in uno spazio ascetico che consenta di vedere la vita da una diversa prospettiva, insomma queste opere sono pensate e realizzate affinché, con tutti i loro mezzi, diventino fonte di sensazioni ed uno sprone alla riflessione.
Questo mio intento si presenta in modo talmente complesso da richiedere un approccio da molti sguardi, oltre a quello estetico; l’inserimento sulla tela di cerniere, borchie, cuciture o bottoni e nella sfera di un mosaico di diversi materiali e trattamenti cromatici, vuole essere l’invito e la dichiarazione, ad una pur momentanea chiusura verso lo spazio esteriore per un’apertura verso quello interiore. Ribadisco che la mia innovazione non è affidata prettamente alle componenti di cui sopra, nel pensiero che la pittura non dovrebbe essere soltanto competenza tecnica e gusto del bello, ma anche e soprattutto un fatto d’idee ed emozioni.
Se guardiamo i graffiti del Paleolitico, non posso credere che quegli uomini che incidevano e dipingevano sulla roccia pensassero semplicemente di propiziarsi forze naturali od invocassero la fortuna per la caccia. Questi nostri antenati avevano sicuramente una spiritualità e non è vero che non si sentissero artisti, hanno dato inizio all’arte che da allora, non ha mai cessato di esistere e di evolversi, ma sempre in un concetto di fantasia, d’innovazione e di pensiero. Le mie creazioni quindi, ritengo siano un’ulteriore evoluzione di quello che è stato il primario spirito creativo.
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La cerniera allora è sicuramente un elemento che mi caratterizza, ma l’elemento essenziale della mia arte è che nasce e si conclude a livello astratto, non Astrazione come corrente artistica, ma proprio come proiezione di un pensiero meditativo che ovviamente non potrei comunicare in forma visiva e da qui, la necessità della “Bottega”.
Inserti della tela come le borchie, i bottoni, le cuciture ed appunto le cerniere, sono elementi che hanno attinenza di tutt’altro genere, ma io li ho ripresi dal loro uso comune e trasportati nel campo dell’arte.
La sfera ancor meglio è rappresentativa del mio concetto di arte perché già di per se vi si vede l’Universo tutto e, in questa visione cosmica dove il cerchio rende l’dea di perfezione, ho voluto aggiungere vari elementi, non sempre cromatici, ma anche di svariati materiali come per esempio la radica o la stoffa, spesso grazie all’apporto di oggetti diversi nel concetto di rappresentazione del Creato.
Uno degli obbiettivi dell’arte è promuovere il dialogo; la sfera non avendo un inizio, una fine ed essendo nella mia composizione mutevole, può stimolare quest’ultimo tanto tra gli osservatori quanto con l’opera stessa in continuo cambiamento. Se prendo per esempio la “Scultura di Nebbia” di Fujiko Nakaya, rivoluzionaria perché utilizza come mezzo espressivo l’aria resa visibile, cioè un muro di nebbia che si materializza e poi si disperde, è sicuramente un opera in mutamento, ma non tangibile come la sfera che comunque è avanguardia.
Nel mondo dell’Arte Classica le opere sono apprezzate per la capacità che ha l’artista sia con il pennello sulla tela o lo scalpello sulla pietra. Nell’Arte Contemporanea i capolavori sono considerati tali più per l’idea che per l’esecuzione; il mio processo creativo parte dunque dall’idea e si conclude con la realizzazione di essa, ma con un percorso che si estranea dalla convenzione.
Francesco D’Alconzo
"Francesco DꞌAlconzo nei mesi di settembre/ottobre corrente anno è presente a Venezia a Palazzo Merati (per un periodo residenza di Giacomo Casanova) alla Mostra Symphonie de Couleurs a cura di Carlo Francesco Galli e Rita Calenda, direttore editoriale Gregorio Rossi; in contemporanea con la 58ª Biennale di Venezia, nel 2009 partecipò alla 53ª edizione nel Padiglione Nazionale della Repubblica di Costa Rica.
Nel 2007 era presente alla prima edizione di Symphonie de Couleurs, sempre a cura di Carlo Francesco Galli e Rita Calenda, catalogo a mia cura, in contemporanea alla 52ª Biennale a Palazzo Pesaro Papafava. La presenza di Francesco DꞌAlconzo a Venezia, tanto alla Biennale quanto a eventi in contemporanea, è quindi consolidata da molti anni”.
Gregorio Rossi