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Piero Guccione La pittura come il mare

Museo d’arte Mendrisio
7 aprile – 30 giugno 2019
a cura di Silvana Gatti
3 Cielo e nuvole al Punta Corvo 1Il Museo d'arte Mendrisio propone, nella primavera del 2019, una mostra dedicata al pittore del mare per eccellenza, Piero Guccione, attraverso l’esposizione di 56 capolavori tra olii e pastelli, che hanno per tema il mare e la natura arida dell’estremo lembo della Sicilia orientale, a partire dai primi anni settanta fino al 2012. La scelta delle opere, in questa prima retrospettiva post mortem, è stata curata da Simone Soldini, direttore del Museo d’arte Mendrisio, e dall'Archivio Piero Guccione. Nato nel 1935 a Scicli, nel ragusano, dal padre sarto, stimato in città, e dalla madre dedita ai figli, Piero e le sue due sorelle, là dove i Monti Iblei degradano nel canale di Sicilia, e scomparso il 6 ottobre 2018 all’età di 83 anni, per oltre quaranta anni Guccione ha contemplato il mare spingendo il suo sguardo verso l’orizzonte, alla ricerca di quell’energia che muove il mondo nell’alternarsi del giorno e della notte, della luce e del buio, quell’energia impercettibile del mare calmo che tuttavia calmo non è, perché in costante movimento, onda dopo onda, giorno dopo giorno, nell’alternarsi delle stagioni.
Assistente di Renato Guttuso, protagonista di importanti mostre promosse da musei italiani e stranieri, Guccione è stato il principale animatore del Gruppo di Scicli, a proposito del quale Guttuso, in un’intervista, disse: «Nel deserto della pittura italiana, c’è la purezza d’intenti di un gruppo di artisti che opera nell’estrema periferia, lontani dal dinamismo delle metropoli, dalle Biennali d’arte, dalla velocità consumistica alla quale neppure l’opera d’arte riesce a sottrarsi».
Guccione aveva studiato all’Istituto d’arte di Catania e poi all’Accademia di belle arti di Roma, dove si era trasferito nell’ottobre del 1954 divenendo assistente dello stesso Guttuso dal 1966 al 1969 per la cattedra di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Dal 1979 tenne la cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Catania. La sua prima mostra personale ebbe luogo a Roma, alla Galleria Elmo, nel 1960. Molteplici le sue occasioni espositive: nel 1984 l’Hirshhorn Museum di Washington lo invitò alla mostra internazionale Drawings 1974-84, nel 1985 il Metropolitan Museum of Art di New York ad un’antologica di grafica. Partecipò alla X e alla XII edizione della Quadriennale di Roma (1972 e 1992), e fu invitato a diverse edizioni (1966, 1972, 1978, 1982, 1988) della Biennale di Venezia, che del 1988 gli dedicò una sala personale nel Padiglione Italiano.
Guccione, senza mai distanziarsi dall’arte figurativa, ha portato il suo linguaggio artistico ai limiti dell’astrazione, soprattutto nelle ultime opere dove l’atmosfera è estremamente rarefatta sfociando in una sensazione di vuoto riempita solo da uno spazio meditativo in cui l’uomo, fissando la linea dell’orizzonte, insegue i propri pensieri. Perché Guccione, nel raffigurare mare e cielo, è stato attratto proprio dalla forza e dal colore di quell’impercettibile linea che divide il cielo dal mare. È l’impercettibilità di quella linea ad affascinare Guccione, quella linea che rincorre l’infinito ed infinita essa stessa, eterna ossessione che un tempo segnava il limite del mondo conosciuto. Immergendoci nelle marine di questo artista, par quasi di sentire la voce di Giuseppe Ungaretti che recita “M’illumino d’immenso”. La spiritualità supera la matericità, nei flutti marini che si perpetuano all’infinito. Un artista, Guccione, che non può essere annoverato fra i pittori realisti, in quanto si avvicina nettamente alla metafisica, al concetto del “pensiero dipinto”. Distante dalle mode avanguardistiche, indifferente a scandali e provocazioni, Guccione intende il suo mestiere come una combinazione tra saper osservare e saper fare. Il 5 Il mare a Punta Corvo 1punto di partenza è sempre la contemplazione, laddove stupore e attesa si fondono. Il punto di arrivo è il risultato della mano sapiente che, padrona della tecnica, dà corpo a quelle visioni, distanziandosi tuttavia da ogni impressionismo.
Sono nate così opere metafisiche, atemporali, campite da diverse mani di azzurro, che evocano le sfumature del mare e del cielo vicine ad alcuni cicli fotografici di Luigi Ghirri.
A Scicli Guccione è stato pubblicamente lodato dai maggiori scrittori del paese, nonostante fosse raro incontrarlo, rintanato com’era nel suo studio fuori dal mondo, dove lavorava mesi e mesi su una singola immagine, rifacendone ossessivamente le precise sottigliezze di tono fino a quando quell'immagine rispondeva ai suoi requisiti, catturando l'essenza delle aride montagne e dello scintillante Mediterraneo, che rappresentavano i confini del suo mondo.
Per dirla con le parole dello scrittore Alberto Moravia: «Guccione non illustra figure e situazioni, ma cerca anzi di ridurre il più possibile il riferimento illustrativo… si è messo fuori dalla storia, si è tenuto alla passione che è di tutti i tempi e di tutti i luoghi e a quella soltanto.» Questo “mettersi fuori dalla storia” ha portato l'artista ad usare anche il pastello, mezzo che scopre tra il 1973 e il 1974 come tecnica “veloce”, in alternativa, o meglio in sostegno alla lenta procedura della pittura ad olio. Da quel momento in poi il pastello lo ha aiutato ad esprimere un’emozione più immediata e diretta, animando la natura e trasferendo alla natura i sentimenti e le passioni umane.
Nei pochi scritti lasciati da Guccione, raccolti in un volumetto intitolato Stesure, un paragrafo delinea il suo pensiero sul mare: “Il mare? Cerco di farlo muovere per incontrare il cielo. Ma il senso del cielo è quello dell’immobilità, mentre il mare è la mobilità. Il mare è la fissità mobile, il cielo è la fissità assoluta. Inconsciamente mi adopero per farli incontrare.” Come i grandi navigatori che si sono avventurati oltre l’orizzonte sfidando l’ignoto, Guccione ha continuamente, ossessivamente, interrogato quella striscia di mare che, lambendo il cielo, si fonde alludendo al mistero del creato, evocando l’ignoto, l’oltre, nella costante ricerca del motore divino che tutto muove, a partire dal moto perpetuo delle onde e dell’universo tutto. Per dirla con le sue parole: «La mia pittura oggi va verso un'idea di piattezza che contenga l'assoluto, tra il mare e il cielo, dove quasi il colore è abolito, lo spazio pure. Insomma, una sorta di piattezza, che però, in qualche modo, contenga un dato di assolutezza, di una cosa che assomiglia a niente e che assomiglia a tutto.»
Un catalogo di 120 pagine, edito dal Museo d’arte Mendrisio, documenta con fotografie e schede tutte le opere in mostra, introdotte dai contributi di studiosi e seguite da apparati riportanti una bibliografia scelta e una selezione delle esposizioni.