Piero MASIA. Un assolo di batteria che non finisce mai.

Di Giorgio Barassi.

“Ogni musica che non dipinge nulla, è rumore”
Jean D’Alembert


Del Piero Masia pittore eclettico e fantasioso si sa molto: mostre, eventi, fiere, televisione… Ma, come abbiamo già scritto altre volte, la sua carriera artistica non può prescindere da quella musicale, a cui Piero tiene come a quella di pittore. Due maniere parallele di esprimersi e rendere possibile una armonia per altri difficile e per lui naturale, immancabile, irrinunciabile. Sono vicini, i due mondi della musica e della pittura, in Masia. Anzi, l’uno alimenta l’altro e viceversa, ed entrambi sono il sentiero ampio con cui attraversa emozioni ed entusiasmi, fornito com’è di una energia vitale che si legge dalla sua chiacchiera spontanea e dal suo sorriso sincero. A voler separare le due forme di espressione artistica di Masia si commetterebbe una grave omissione: quella di non considerare che sin da piccolo le sue maniere preferite di dare voce alla sua vitalità erano proprio quel picchiare ritmato sulle pelli dei tamburi e quel tenere sempre alto il tono del colore nelle sue tele. A Torino, dove arriva da giovane, le brume piemontesi, gli autunni o gli inverni innevati non hanno mai smorzato quei toni. Semmai li hanno esaltati. E lui, fiero sardo dai modi gentili, ha colorato la sua esistenza e quella di appassionati collezionisti con le numerose operazioni artistiche che ormai hanno conquistato un pubblico vasto e curioso, poiché dal Masia ipercreativo puoi aspettarti virate improvvise, estensioni a temi inattesi, novità continue ed imprevedibili come un doppio colpo di cassa e rullante che scuote il petto di chi ascolta.

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Non ha, nel suo repertorio di pittore, un ciclo che possa dirsi esaurito o abbandonato. E talvolta sorprende la disinvoltura con cui torna su temi che aveva sviscerato quaranta o quasi cinquanta anni fa arricchendoli senza modificarne l’essenza. È il caso delle “Trilogie”, una serie di opere di cui la più datata conta quaranta primavere. Lì c’è un Masia astrattista e indagatore, che usa lo schema della tragedia greca, evocando reminiscenze classiche, e lo riassume in opere che evocano il mondo della musica, del lavoro, delle tradizioni ma anche le osservazioni sulla società e la mai sopita forma di amore per il rock. Spuntano, dal suo recente repertorio, Trilogie dedicate addirittura ai supereroi e a nessuno è chiaro quel che avverrà dopo, quando il Piero Masia artista del pennello lascerà al Masia batterista l’imprevedibile mossa successiva, magari l’affrontare temi nuovi e nuovi confini con la stessa virtuosa forma di coraggio creativo che caratterizza un assolo dai colpi ben assestati ma non codificabili se non nell’istinto e nella tecnica dell’esecutore.
Della sua produzione figurativa ed informale abbiamo abbondantemente scritto, riferendo di opere che attingono ad una nostalgia allegra della sua Sardegna, ai costumi, ai colori ed alla presenza di due cerchi gialli nei cieli dipinti di azzurro sincero, a confermare un ottimismo intramontabile. Il sole dunque non è solo uno, ma si presenta nelle opere di Masia in due parti, controlaterali e parallele, a dare speranza e fiducia. Come se quel sole, raddoppiato, non abbia mai a tramontare.
Nondimeno le esecuzioni informali raccontano una abilità costruttiva che fa il paio con una tecnica ben posseduta, ben tornita negli anni di sperimentazioni ed oggi al servizio di quelle composizioni geometriche e geometrizzanti che escono naturalmente dal novero della semplice astrazione piana, perché sottendono, accennano, istigano l’osservatore a cercare particolari e significati in ogni angolo del dipinto. In questi ultimi periodi, Masia si dedica con cura alla sua produzione fatta di geometrie policrome, e il suo intimo scopo non cambia, nel segno di una coerenza che è componente fissa della sua determinazione. Quello che per fortuna non gli si stacca di dosso è l’istinto del drummer che sa bene quanto sia importante stupire chi ascolta. Perciò Masia gioca ad attirare l’attenzione con ritmi delicati, pronto ad affondare i colpi con colori accesissimi, esattamente come fa quando, con le bacchette in mano, gli tocca qualche minuto di solo che finisce sempre per strappare applausi sinceri.

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Una vita dedicata al colore ed alla musica, esperienze parallele innegabilmente valide a qualificare un artista che continua a dare gioia e colore con una invidiabile tenacia. A leggere di primo acchito la sua produzione, si intuisce una passione sfrenata per la espressione ampia, coinvolgente. Un comporre trascinante, che spinge a guardare con calma ogni particolare, ogni aspetto di quel tracciato di colori e forme che rispettano sì il rigore delle operazioni artistiche, ma fanno fiutare un’indole da sano ribelle. Quella del rockettaro incallito che non vive senza gli innocenti eccessi della battuta decisa.
Qualcuno ha detto, azzardando non poco, che l’astrazione è più fredda della figurazione. A parte la differenza, ormai superata da decenni, tra le due forme di espressione artistica, possiamo affermare con certezza che in Masia l’astrazione è la esatta esaltazione delle tinte, perché nelle sue geometrie infila colori decisi e figli di una dotazione legata alla sua terra d’origine. Il turchese, il giallo, quei bruni corposi, il verde smeraldo e le sue tonalità derivanti, l’azzurro nitido sbucano dai colori della terra di Sardegna e prendono giusto spazio nella giusta forma, facendoci tornare in mente il colpo di cassa del batterista esperto che serve a richiamare la disattenzione del gruppo sul ritmo giusto. E nella vita, come nella pittura, perdere il ritmo sarebbe fatale.